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Quando vincoli la tua vita all’equilibrio determinato dall’incrocio del pollice della tua mano destra e dalla forza della tua caviglia sinistra incastrati in poco più di 2 cm di rocce confinanti: qual è il valore che dai alla vita?

É quello che ho pensato guardando la scena del film FREE SOLO, girato da Elizabeth Chai Vasarhelyi e dal fotografo e alpinista Jimmy Chin. Il film è stato recentemente premiato agli Oscar come miglior documentario, il film racconta il dietro le quinte dell’impresa irripetibile, intima ed emozionante di Alex Honnold.

La scena del pollice è uno dei momenti critici che Alex ha dovuto affrontare durante la sua arrampicata solitaria su El Capitan. La via scalata da Hannold si chiama Freerider e Alex ha impiegato meno di 4 ore per scalarla nel luglio del 2017.

Il free solo, a differenza del free climbing dove le protezioni vengono usate per agevolare l’ascesa, è una forma di arrampicata dove l’atleta rinuncia a corde, imbragature e qualunque altra protezione durante la scalata. Un errore può essere fatale.

El Capitan, una delle big wall più famose al mondo, si trova all’interno dello Yosemite Park, uno dei parchi naturali più belli della California. Ho avuto la fortuna di vederlo, nel luglio del 2015, quando ero in viaggio in California con le mie amiche. Qualche mese dopo Alex comunicherà, al suo amico Chin, di voler iniziare la preparazione che lo avrebbe portato alla sua impresa epica. I 900 metri di roccia de El Capitan, imponente ed elegante monolite granitico, mi hanno lasciato letteralmente senza fiato per qualche minuto. Una sensazione di vertigini, la stessa che ho provato di fronte i colori e lo sconfinamento del Grand Canyon, una sorta di sindrome di Stendhal.
Il film è appassionato, adrenalinico; il personaggio è complesso, ispirazionale, è umano.

Il film è stato prodotto da National Geographic e racconta non solo l’esercizio, la costanza, la determinazione e il sacrificio che c’è dietro l’impresa di Alex; ma racconta anche la sua psicologia e il suo lato umano. L’amico regista rende con delicatezza la corazza emotiva che Alex si è costruito per allenare razionalità e lucidità nel portare avanti la sua esperienza, in free solo.
Persone, come Alex, sono mentalmente predisposte a confrontarsi con importanti tensioni emotive, hanno l’amigdala iper allenata perché sottoposta ripetutamente a forti stress emotivi. Il cervello, rispetto ad una persona (considerata) normale, ha una percezione del pericolo diversa, alterata. Persone come Alex, non sono pazzi o meno attaccati alla vita rispetto ad altre, hanno parametri di giudizio differenti e hanno costantemente bisogno di maggiori stimoli per dissetare la propria dose di adrenalina, positiva.
National Geographic, in questo caso, sottolinea i limiti dell’essere umano, sottoposto a sfidare una natura fatta di altezze e rocce apparentemente inespugnabili, e mostra la natura umana capace di sfidare ogni limite facendo affidamento solo su sé stessa.

Il senso di limite e di natura umana sono ripresi anche all’interno della mostra Capire il cambiamento climatico, experience exhibition di National Geographic visitabile al Museo di Storia Naturale di Milano.

I limiti, in questo caso, non sono dell’uomo ma della natura. Per la prima volta sono stati dedicati 300 metri quadri per esprimere, attraverso 300 immagini, le meraviglie naturali del nostro Pianeta, in contrasto alle catastrofi dovute al cambiamento climatico. Il tutto curato e sapientemente allestito attraverso un percorso sequenziale suddiviso in 3 sezioni: esperienza, consapevolezza e azione.

Gli scenari sono spaventosi, ma bisogna essere informati e sul pezzo per poter agire. Nelle diverse sezioni della consapevolezza si parla di fusione dei ghiacciai, rifiuti, microplastiche, catena alimentare, consumi e sprechi, aumento delle temperature, gas serra, produzione sostenibile.

Le fusioni dei ghiacciai, soprattutto polari, e la dilatazione termica dell’acqua più calda determinano l’aumento dei livelli marini. Sono già saliti di circa 20 cm nell’ultimo secolo – attualmente di 3,4 mm/anno – e si teme che entro il 2100 possano aumentare ancora tra 40 cm (scenario più ottimistico) e circa un metro, allagando le terre abitate da centinaia di milioni di persone e dando luogo a migrazioni umane epocali.

Per incuria o per dolo, ogni anno vengono scaricate nei mari di tutto il pianeta 8 milioni di tonnellate di plastica, che le correnti concentrano in cinque vortici come gigantesche isole galleggianti di poltiglia di rifiuti (plastic gryes).

Uccelli e altri animali marini confondono la plastica con il cibo, la ingeriscono fino a morire con lo stomaco pieno, o restino intrappolati in reti da pesca e borse di plastica. Inoltre con il tempo i rifiuti si sminuzzano in piccoli frammenti, le microplastiche entrano nelle catene alimentari arrivando fino ai nostri piatti attraverso il pesce e il sale marino.

L’aumento delle temperature medie planetarie (circa +1°C dal 1850) è l’effetto più evidente dei cambiamenti climatici antropogenici. I 5 anni più caldi in oltre un secolo e mezzo di sono concentrati dal 2014 in poi, e il 2016 è stato per ora l’anno più caldo di tutti (fonte MetOffice Hadley Center).

Ogni europeo emette in media circa 7 tonnellate di gas serra all’anno (CO2 equivalente). Lo fa in diversi modi: principalmente bruciando combustibili fossili per generare energia elettrica (28% delle emissioni), per muovere automobili, treni, navi, aerei (27%), per far funzionare le industrie e fabbricare i beni di consumo (18%), per riscaldare case, uffici, e negozi (13%, considerando solo gas e gasolio consumati negli edifici, escludendo i consumi elettrici).

Una considerevole frazione di gas serra (11%) viene emessa inoltre per produrre cibo tramite l’agricoltura, l’allevamento e la pesca (trattori, processi chimici di produzione di fertilizzanti oltre al rilascio di metano dall’apparato digerente dei bovini), e anche per smaltire i rifiuti (3%).In un’economia ancora basata su petrolio, gas e carbone, pressoché tutto ciò che facciamo e acquistiamo comporta emissioni-serra: il livello di consumi e di sprechi è proporzionale al nostro impatto sul clima (fonte European Enviroment Agency).

La sezione della mostra sull’azione mi ha fatto pensare al documentario che ho visto lo scorso 12 aprile, FREE SOLO.
A sua volta, l’arrampicata, in quanto atto di muovere in maniera sapiente mani, piedi e mente verso un’unica direzione, mi ha ispirata in quanto atto di perseveranza nei confronti del cambiamento climatico.

Nella disciplina del free solo è la persona, nella sua individualità, che deve raggiungere l’obiettivo di salire in vetta; nella lotta al cambiamento climatico è la comunità, le singole persone insieme, che devono raggiungere un’obiettivo comune, in maniera armonica e coordinata.

Che sia Greta o altri leader mondiali, l’importante è il messaggio condiviso e da condividere, non il messaggero. Perché, tanto nel free solo quanto nella lotta ai cambiamenti climatici, nonostante gli obiettivi sfidanti, è la persona al centro della natura, sistema finito e con dei limiti da preservare. Insieme.

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