«Il bisogno creò allora il vocabolo» – A. Manzoni

Ogni primo gennaio, puntualmente, assitiamo (in maniera più o meno consapevole) a rituali che, a prescindere dal Paese o dalla cultura di provenienza, sono comuni a molti: bilanci o foto collage dell anno appena trascorso, lista dei traguardi raggiunti o degli insuccessi vissuti, condivisione e massime su insegnamenti e lezioni di vita. Tutto ciò si è drasticamente amplificato con l’avvento dei social network: una competizione all’utilizzo dell’hashtag e del filtro migliore combinato con la caption perfetta attraverso il magico dono della sintesi e dell’utilizzo efficace di un numero massimo di 180 digit.

Overhead Shot of Young Caucasian Stock Footage Video (100% Royalty-free)  14742928 | Shutterstock

Ogni primo gennaio, puntualmente, in maniera più o meno consapevole assisto al ripetersi di questo fenomeno con pigiama di pile e occhiali da lettura. Ogni volta resto piacevolmente colpita e incuriosita dalla creatività con cui le persone si raccontano e forniscono la migliore (a tratti un po’ patinata e mistificata) immagine di sé. Oltre all’outfit di rito, accompagno il trascorrere delle prime 24 ore dell’anno leggendo giornali e guardando video o documentari che raccontano (o almeno ci provano) gli eventi accorsi attraverso la quantità e la qualità delle parole o ideologismi o fenomenologie linguistiche utilizzati. Un bignami dell’anno appena concluso.

Metaforicamente, il 2020 ci ha lasciato senza parole.

In realtà, l’anno 2020 è stato un anno pieno di parole nuove o rinnovate nel loro significato o nel loro utilizzo. Un mondo nuovo raccontato attraverso parole altrettanto nuove o a cui è stata donata nuova vita.

Il Collins o la Cambridge University ritengono che la parola dell’anno sia Coronavirus, Covid-19lockdown, quarantena. C’è poi un gruppo di parole altrettanto ricercate ed entrate a far parte del lessico quotidiano: distanziamento sociale, isolamento, auto-quarantena, distanza fisica, pandemia. Ce ne sono altre che rientrano nel gruppo di parole relazionali come congiunto, affetti stabili, assembramento, resistenza, resilienza, accoglienza, generosità, sorriso, abbraccio, take care e andrà tutto bene. Un altro gruppo rientra in quello delle parole utili a spiegare il fenomeno di cui sopra (molte delle quali tecniche e/o scientifiche e che sono entrate drasticamente a far parte dell’uso corrente) come infodemic, coprifuoco, sierologico, tampone o tamponare, tracciamento, vaccino, RNA, guanti, mascherina, mask-shaming, asettico, positivo o negativo, coronials, virale, spillover o salto di specie, droplet o goccioline, termoscanner, dispnea o anosmia, doomscrolling, attività motorie o attività sportive, green deal e recovery fund, anthropause. Altre parole sono state attinte dal linguaggio bellico da parte dei polici (e non solo) e sono state prese in prestito per raccontare, strategicamente, il fenomeno del Coronavirus in modo da coingolvere le persone alla lotta (per l’appunto ndr) al Coronavirus: lazzaretto, trincea, fronte, guerra, nemico invisibile. Altri termini e fenomeni sono entrati a far parte del mondo nuovo in cui ci siamo ritrovati a vivere, o meglio, a sopravvivere, come: didattica a distanza, lavoro a distanza o smartworking, zoom, zoombombing, aperizoom, unmute yourself.

Che sia la lingua italiana o l’inglese o altre lingue straniere o un mix di esse, il linguaggio è uno strumento che aiuta ad analizzare quello che ci sta attorno per poterlo decifrare e conoscere meglio, per ridurre al minimo le incomprensioni, le ansie e le paure nei confronti di qualcosa di sconosciuto e inedito, e tracciare un rotta linguistica e definire dove stiamo andando. La rotta linguistica dell’anno appena iniziato è altrettanto imprevedibile, se io fossi nel 2021 soffrirei (e non poco) di ansia da prestazione. Una cosa che si può fare nel tracciare la rotta del dove stiamo andando è di considerare parole positive e la cui immagine restituisce quella serenità, stabilità e comfort zone tanto agognata che ci ha fatto riscoprire fragili, umili, disorientati – umani nei confronti di un fenomeno completamente disruptive.

Prendo in prestito due parole dal mondo illustrato – disegnate dall’arabo Mahmoud El Sayed
nel vocabolario del nuovo anno.
Lascio a te il compito di attribuirne il significato più adatto e trarne l’ispirazione giusta.

Le parole arabe illustrate da Mahmoud Tammam

حرية

libertà
frihet
свобода
libertade
kūʻokoʻa
freedom
uhuru
liberté
özgürlük
自由
libertad
libereco

Passion - Eashq

عشق

passione
passion
страст
paixão
kuko
passion
shauku
passion
tutku
情熱
pasiòn
pasio


Libertà – libertà di respirare, di abbracciare, di muoversi, libertà di viaggiare. Libertà di restare e di scegliere di fermarsi. Libertà di cambiare, di tornare indietro o andare avanti. Libertà di sospendere il giudizio. Libertà di vaccinarsi. Libertà di non sapere cosa fare o cosa pensare. Libertà di annoiarsi. Libertà di amare e di appassionarsi a cose e persone nuove o già note, imprevedibili o normali.

Passione – passione per il proprio lavoro o per quello degli altri. Passione per le persone che si decide di vivere e a cui si sceglie di dedicare il proprio tempo. Passione per l’arte, la musica, la pittura e tutte quelle attività che ci nutrono l’anima. Passione per la cucina, il buon cibo e per il buon vino bevuto in compagnia o anche da soli. Passione per l’arte del donare, della compassione. Passione per la cura verso la vita degli altri oltre che per la propria.

Nonostante tutto, grazie 2020 – passerai alla storia.
Felice di essere qui e poterti raccontare.
Ciao

One thought on “«Il bisogno creò allora il vocabolo» – A. Manzoni

  1. Verissimo. Ed oltre ad arricchirci di vocaboli credo ci abbia fatto capire il valore di tanti mestieri. Dal medico al rider, passando per gli insegnanti che non sono solo veicolo di nozioni ma di apertura e preparazione alla vita.

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